2/9 Ferruccio Cavaliere, Mario Ferruccio

Cortina d’Ampezzo

“Ferruccio Cavaliere era un orefice di Verona. Durante la Grande Guerra venne arruolato e fatto salire in Cadore assieme a un battaglione di bersaglieri per andare a conquistare il Cristallo. Il versante sud era già preso, ora toccava all’altra parte. L’esercito voleva spingere il fronte verso nord, verso Carbonin, anche se il lato settentrionale è un posto infido. È una stretta valle, molto fredda, scoscesa e occupata dal ghiacciaio. Come se non bastasse quei disgraziati li mandavano a combattere così, in uniforme da bersagliere, che non era adatta alle basse temperature. Portavano addirittura l’elmo col ciuffo, per essere centrati meglio dai cecchini austriaci.
Arrivano alla linea italiana di pomeriggio inoltrato. Gli dicono che il mattino dopo si va all’assalto, verso la Costabella, dove ci sono i nemici. Speriamo che ci sia nebbia, pensano, perché dobbiamo attraversare il ghiacciaio e saremo come i bersagli alle fiere. Bivaccano fra i sassi a 2800 metri, assieme agli alpini, che però sono ben vestiti. Non chiudono occhio per il freddo e la paura dell’indomani.
Il giorno seguente c’è la nebbia, vivaddio. Si lanciano verso il basso, ma non sono a metà del ghiacciaio che la nebbia si alza come una tendina e i tiratori tedeschi iniziano a fare il loro lavoro. L’assalto italiano fallisce. Il bilancio è di 18 morti e 300 feriti. Ferruccio è colpito alla gamba e per sua fortuna cade nella neve. Capisce che l’unico modo per salvarsi è fare il morto, sperando che a sera venga qualcuno a prenderlo, se non è già morto assiderato. Cosa che accade. Lo portano giù in barella, con la gamba a pezzi. Era il suo primo giorno di guerra. Lo medicano nel Park Hotel Dolomiti di san Vito, nel quale hanno installato un ospedale militare. Il responso è impietoso. Perderà la gamba.
Prima di partire per il Cristallo aveva fatto alcuni giorni di accantonamento a San Vito e passeggiando per strada aveva conosciuto una signora a cui aveva chiesto del latte: venì fiòl, che ve dago un goto de late. Ce faseo cassù? Che cosa fai quassù? Eh, rispose lui, domani devo andare alla guerra. Nelle settimane successive l’amputazione, Ferruccio mandò a dire a questa signora che era a San Vito e lei, mia nonna, andò a trovarlo. O fiòl mè! sbottò appena lo vide, Ce te ali fato? Che cosa ti hanno fatto? Lui stette in silenzio, poi disse domani i me porta in giù.
Dopo molti anni, nel ‘32, mia nonna vide fermarsi un sidecar sotto casa. Ne scese un uomo con una protesi alla gamba. Oh, fiol mé, sei tornato! Due giorni dopo nacqui io. Decise di farmi da padrino e così mi diedero due nomi. Mario, da mio padre, Ferruccio da parte sua”.

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