1/3 Il divano è per gli ammalati, Katia

Malga Bordolona

“Io e Luca ci conosciamo fin da piccoli, abitavamo nello stesso paese. Mi ricordo che da ragazzo lui non voleva studiare, appena inizi a lavorare e vedi un po’ di soldi è normale che ti passi la voglia. A quei tempi era un fighetto, ai limiti del tamarro, il classico stereotipo del lampadato coi vestiti di marca. Io invece ero l’opposto. Forse è per questo che la prima volta non funzionò.
Negli anni seguenti Luca subì una trasformazione. Mentre io cominciavo Lettere, lui nei mesi estivi lavorava in malga, in autunno faceva la raccolta delle mele e poi partiva per l’India o l’America Latina in missioni di volontariato. La cosa durò 4-5 anni. Si vedeva chiaramente che era cambiato e che era alla ricerca di qualcosa: se stesso, la sua dimensione, non lo sapevo. Ma sembrava un altro rispetto a prima, ora era più ribelle, non si curava molto del suo aspetto, portava magliette consumate e i rasta fino al sedere. Pensavo che avesse sbattuto la testa da qualche parte.
Ci riavvicinammo e scoprimmo di avere molto in comune, più di quanto pensassimo da ragazzi. Lui mi convinse a lavorare assieme in malga, la cosa era compatibile con i miei tempi di insegnante. Io lo stimolai a riprendere in mano i libri e iniziare l’università. Entrambe le scelte si sono rivelate giuste. Ultima cosa, ma non meno importante, abbiamo fatto Tommaso, che fin da quando è nato è sempre stato con noi, anche nei tre mesi estivi in montagna. Abbiamo una vita decisamente piena. Luca si sveglia alle 4 anche durante l’inverno, va a mungere le vacche al mattino presto, poi va a scuola a lavorare, torna a casa, munge, studia, gioca con Tommaso e alle 10 va a dormire. Siamo persone che hanno sempre bisogno di fare qualcosa, se ci mettiamo sul divano a riposare vuol dire che siamo ammalati”.

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