3/5 Il picchio verde, Mauro

 Tassullo

“Certi animali sono più difficili da fotografare rispetto ad altri. Durante i primi anni ebbi un sacco di problemi con il picchio verde. Lui mangia tanto in terra, larve e uova di formica. Ha una lingua vischiosa, lunga e arrotolata come le trombette di carnevale. Ciò di cui si ciba è molto zuccherino e calorico, quindi può passare anche molto tempo prima che ritorni al nido a nutrire i piccoli, se si sente disturbato.
Per fotografarlo feci vari tentativi. Normalmente salivo su un albero distante 6-7 metri dal nido, posizionavo la macchina con il fuoco manuale e la mimetizzavo con delle frasche, facevo lo stesso con i flash, poi scendevo tirandomi appresso il cavo per lo scatto. Mi nascondevo e aspettavo che arrivasse. A volte il cavo si staccava dalla macchina perché si era impigliato in qualche ramo ed erano imprecazioni, dovevo risalire e rifare tutto. Solo per preparare la macchina mi ci volevano due ore e magari quello non si faceva vedere per mezza giornata. Sembrava che sapesse che dopo tre ore si scaricava la batteria del flash e lo facesse apposta. Allora provai con un altro sistema. Al posto della macchina ci misi una scatola nera delle stesse dimensioni. La lascia lì un paio di giorni, perché si abituasse alla sua presenza. Poi ritornai e finalmente potei fotografarlo.
Allora non avevi tutte le occasioni che si hanno oggi con il digitale. Potevi giocarti solo 36 cartucce, finite quelle dovevi cambiare il rullino, che consisteva nel salire, togliere la macchina dalla sua sede e far fuggire l’uccello. Oggi anch’io uso il digitale, è molto più comodo, anche se non capisco quelli che prendono uno scatto e lo stravolgono con colori ed effetti di luce che non esistono. La foto non si costruisce con un software sul computer, ma con le gambe, il colpo d’occhio e una macchina fotografica in mano”.

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