Fratelli di guerra, Marco

Rifugio Pernici

“Quando qui piove non arrivano molte persone, il lavoro cala, e a me piace mettermi in un angolo a leggere le storie della prima guerra mondiale che si combatterono su questi monti. Le cime che ci circondano sono aspre e selvagge e nei mesi freddi diventano decisamente pericolose. Il primo nemico, a quel tempo, non era l’esercito avversario, ma la montagna. C’è da battere i denti per noi d’inverno che stiamo qua dentro in un rifugio ben costruito, col cappotto e davanti alla stufa accesa, figuriamoci i soldati con i vestiti di allora… e per gli austriaci era ancora peggio perché le baracche le dovevano per forza fabbricare sui versanti a nord: lì il sole magari stava via da novembre a marzo. Condividere queste difficoltà fece sì che in alcuni casi i due schieramenti fraternizzassero, cercassero di darsi una mano a vicenda. Lessi di un prete milanese che ricordava la confessione di un soldato italiano: su a Cima Capi italiani e austriaci avevano costruito una sorta di teleferica per poter barattare del materiale e quando i Kaiserjäger, che stavano in posizioni più alte, si preparavano a sparare contro gli Alpini, si premuravano di lanciare dei sassolini sulle baracche per avvertirli e farli filare al riparo nelle trincee. La cosa andò avanti per un po’, fino a quando un ufficiale della Guardia di Finanza ricevette una soffiata e volle indagare di persona per stroncare la collaborazione col nemico sul nascere. I tedeschi vennero avvertiti e furono date loro le coordinate della posizione in cui si sarebbe trovato il finanziere. Appena questi mise fuori la testa il fuoco austriaco lo uccise. 100 anni sembrano tanti, ma se ci penso non sono passate molte generazioni. La prima guerra mondiale è più antica rispetto alla seconda, eppure la sento più vicina. È stata combattuta qui, nel nostro territorio, ha cambiato la morfologia di paesi e montagne, ha segnato nuovi confini e ridefinito equilibri che oggi noi diamo per scontati. Cunicoli, trincee, baracche: le cime qui attorno ne sono ancora piene. Leggerne e parlarne fa bene per non far tacere tutti quei segni che raccontano, nel bene o nel male, cosa è in grado di fare l’uomo”.

Storia scritta per Garda Trentino

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