Un buon miscuglio, Lauregno

Val di Non

“Con tutti i muri che si stanno costruendo nel mondo, per proteggersi dal diverso, dall’estraneo e dallo sconosciuto, io sono decisamente un caso in controtendenza. Le mie origini si sono perse nel corso dei secoli. Sicuramente ho più di 800 anni, lo testimonia un documento trovato a Cloz. Da quando ho memoria sono un villaggio come tutti gli altri, niente di eccezionale, se non per una cosa, la mia collocazione. Non si tratta di un fatto geografico, ma culturale. Mi trovo nella parte più remota della val di Non, che è quasi interamente di lingua e cultura italiana. E dico quasi perché io e un altro pugno di paesini siamo da sempre di lingua e cultura tedesca, come il popolo della val d’Ultimo, con cui confiniamo. Fra noi e loro però si frappone la catena delle Maddalene, il che ci rende vicini, ma anche molto lontani allo stesso tempo. Io, stando sul versante sud della catena, ho sempre stretto molti più rapporti con gli italiani. Prima che aprissero la galleria, nel 1998, per valicare il Passo Castrin e scendere in Alto Adige, ci volevano giorni, e lo si faceva a piedi, perché c’era solo un sentiero usato dai pastori per andare in malga. Fino al 1948 facevo parte del Trentino a tutti gli effetti, e le cose andavano bene uguale. Poi fui annesso al Sudtirolo e la mia gente continuò a conoscere e a frequentare nonesi e trentini. I miei abitanti, 350 anime, oggi esercitano una specie di miscuglio di pratiche a cavallo fra l’una e l’altra cultura. Sono rimasti fedeli alle loro tradizioni linguistiche e folcloristiche di stampo teutonico, le manifestazioni le organizzano in modo bilingue, invitando sempre tutti, e la spesa vanno a farla a Revò, Cles o Fondo, dove il prosciutto lo chiedono in italiano”.

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