La stanza di zio Joseph, Maso Oberstangl

Lauregno

“Nacquero uno nel 1911 e l’altro poco dopo, nel 1912. Li chiamarono Franz e Joseph. Erano nomi molto in voga ai tempi. Eravamo ancora sotto l’impero asburgico, gli anni del Kaiser. Crebbero insieme. Franz, il più vecchio, ereditò il maso. Joseph avrebbe potuto riscattare la sua parte dell’eredità e andarsene in cerca di fortuna altrove. Così diceva la legge. Invece di partire preferì rimanere con la famiglia. Anche perché probabilmente, da solo, nel mondo di quel tempo, avrebbe faticato parecchio. Non riusciva né a parlare né a sentire. I genitori lo mandarono a una scuola per sordomuti a Inssbruck, dove imparò a leggere, a scrivere, a dipingere e a lavorare il legno. Una volta tornato si stabilì qui, dentro di me. E trascorremmo assieme tutto il tempo di una vita. Tutte le mattine si alzava dal letto, usciva per andare in cucina a far colazione assieme ai genitori, al fratello e ai nipoti, e poi tornava qui per mettersi al lavoro.
Il letto è sparito, Albert lo ha tolto per sistemare le casse di birra, ma il bancone da falegname dove Joseph passava le giornate è ancora al suo posto. Passarono gli anni, lui scrivendo, leggendo, disegnando o costruendo mobili, io ascoltando i suoi silenzi. Che non erano veri e propri silenzi, niente a che vedere con la totale e assordante mancanza di suono che domina ora. Lui comunicava molto, ma con rumori più sottili e discreti, che mi costrinsero, nel corso della sua vita, ad affinare l’udito. Con quelli lui mi parlava, mi faceva capire se quel pomeriggio si sentiva bene o era stanco, se aveva fretta di concludere un lavoro o meno, se era allegro o triste. Durante il giorno lui si raccontava attraverso il ripetitivo gracchiare di una sega da traforo, o lo scorrere liscio di un pennello sulla tela. Durante la notte mi svegliava con un improvviso cigolio delle assi del pavimento per andare in bagno o con un colpo secco di tosse che riecheggiava per alcuni secondi nell’oscurità. Nel 1990, a 78 anni, qui, nel suo letto, Joseph morì. In quel momento scomparvero anche gli ultimi due suoni che mi avevano legato a lui per tutta la sua vita, il suo respiro e il battito del suo cuore.”

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