Nuova vita, Pozzole di Stava

Val di Fiemme

“Ora non sono che una strana macchia nel bosco, di quelle che se passi in macchina manco ti accorgi che esiste. I miei alberi sono bassi rispetto a quelli che mi circondano. Sono giovani, nati da poco. Non conosco la data di nascita di ciascuno di loro, ma so che tutti, nessuno escluso, hanno meno di trent’anni. Perché qui, fino alle 12.22 del 19 luglio 1985 non cresceva un filo d’erba. Quel giorno di mezza estate, per quanto mi riguarda, ogni cosa cambiò radicalmente. Ancora oggi, dopo tanto tempo, sento un peso sulla coscienza, anche se la colpa non fu mia. Fu di alcuni uomini.
Le società minerarie, che estraevano fluorite dallo scavo di Prestavel, negli anni ’60 mi costruirono addosso due grandi bacini di decantazione. Li riempirono di acque fangose e materiali, innalzandone il livello anno dopo anno. I due laghetti erano stati realizzati uno sopra l’altro, senza fondamenta solide. Anzi, quello superiore poggiava il proprio argine portante, fatto di sabbia, sui fanghi instabili di quello inferiore. Tutte le norme dell’ingegneria e del buonsenso furono ignorate, compresa la scelta del luogo. Mi hanno da sempre chiamato Pozzole non a caso, perché sono un terreno acquitrinoso. Tenni duro finché potei, l’unica forza di cui dispongo è l’inerzia, e ce la misi tutta, fino al quel fatidico momento in cui la gravità ebbe il sopravvento. Crollai di schianto. Vidi quel fiume di melma uscire dagli argini rotti e prendere velocità. Lo vidi riversarsi in basso e travolgere il piccolo paese di Stava. Nell’arco di pochi minuti tutto fu finito. 268 persone, che stavano per mettersi a tavola per il pranzo del venerdì, furono uccise, portate via, lontano, dalla corrente, assieme alle loro case, alle loro speranze.
Quelle anime pellegrine tornarono in silenzio, una alla volta, tempo dopo. Io le accolsi sulla mia terra nuda. Loro si offrirono di risollevarmi dal grave stato in cui mi trovavo e rendermi verde di nuovo. Oggi sono più di 268 gli alberi che mi popolano. Altri si sono aggiunti, da altre valli, da altre correnti”.

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