La mia origine triste, chiesetta del XII Apostoli

Val Rendena

“Era il 1950: Vittorio Conci, Giuseppe Fiorilla, Maria Rita Franceschini e Mauretta Lumini partirono all’alba di una bella mattina estiva dalla malga di Val d’Agola, salendo verso la Bocca dei Camosci, per da lì scendere fino al rifugio Brentei. La giornata era quella di una tranquilla scampagnata fra amici. Battute e umore leggero come l’aria che si respira in montagna. Tutto andò a gonfie vele fino a quando i quattro furono alla base della Vedretta dei Camosci. Il tempo girò al brutto improvvisamente e la piccola cordata fece una pausa per indossare i vestiti pesanti. Nell’estrarre i calzoni, a uno dei quattro scivolò lo zaino dalle mani. L’altro, con una mossa istintiva, si gettò a terra per bloccarlo, ma iniziò a scivolare su un lastrone di ghiaccio in forte pendenza. Gli amici erano legati fra loro e così quel povero disgraziato lì trascinò tutti con sé in fondo a un crepaccio profondo una decina di metri. Esaurito lo stordimento iniziale si accorsero di essere tutti vivi, ma intrappolati da strette pareti di ghiaccio. Da quel crepaccio un alpinista allenato sarebbe riuscito a venir fuori senza troppe difficoltà, ma loro non lo erano. Erano quattro ragazzi in villeggiatura e tre di loro, Vittorio, Giuseppe e Maria Rita, erano pure feriti. Trascorsero tre giorni insieme, senza che il mondo si accorgesse della loro mancanza, pregando, invocando aiuto, gridando per raggiungere qualche orecchio al di fuori della loro gelida prigione. Ma dall’alto arrivavano solo gli scrosci dei temporali e le gocce dell’acqua di fusione del ghiacciaio. I tre feriti si indebolirono ulteriormente e nei giorni successivi morirono di sfinimento, uno dopo l’altro. Solo Mauretta, tre giorni dopo, riuscì a farsi sentire da due alpinisti bresciani e ad uscire, affamata e stremata, ma viva. Questa triste storia colpì la gente in valle, che si attivò per costruirmi: una chiesa lassù, a 2500 m. Due anni dopo iniziarono i lavori: dal fianco della montagna dei XII Apostoli furono asportati 500 m³ di materiale per ricavare l’incavo, e una volta ultimata alcuni visitatori affissero alle pareti delle targhe che commemoravano i loro parenti e amici caduti in montagna.”

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