Rifugio Altissimo
“L’infortunio è stata una possibilità di crescita, è stato quasi un bene, una cosa che mi ha salvato dalla morte. E questo vale per un sacco di altri traumi, piccoli o grandi che siano. Se sai comprenderne l’insegnamento ti spronano a prendere la tua vita in mano e ad agire per il tuo bene. Ad esempio Gianni, un mio caro amico che ha fatto il ragioniere dai 18 ai 55 anni era stufo del suo lavoro. Gli ho proposto di venire qui a lavorare e ora si occupa di fare marmellate ed è contento come una pasqua, anche se abbiamo un problema di permessi: ancora non ci lasciano confezionarle in cucina. Oltre a questo percorso individuale ammetto che per la prima volta mi sento davvero insieme a qualcuno: Eva, mia moglie, mi sostiene, mi asseconda in tutto e i problemi li affrontiamo insieme. Con lei vicina mi posso mostrare insicuro e dire di aver paura. Una volta la paura non doveva esistere, non potevo dirla agli altri, figuriamoci a me stesso. Ai miei figli vorrei insegnare di volersi bene, accettandosi per quello che sono: ciò che facevo io arrampicando in quel modo pazzo e pericoloso non era volermi bene. Un esercizio che ho fatto dopo l’incidente è stato di guardarmi allo specchio e dirmi: Danny ti voglio bene. E’ stato difficilissimo perchè in realtà significa innamorarsi delle proprie debolezze. Lo stesso faccio con Eva, che amo per quella che è. Con questo approccio, i difetti di ciascuno non diventano problemi che si aggiungono a quelli quotidiani. E anche quelli rimpiccioliscono notevolmente. Non si può fare la marmellata qua dentro? La facciamo di fuori.”
Storia scritta per Garda Trentino
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