San Vito di Cadore
“I due tedeschi partono il 30 agosto 2011 per salire in vetta. Sconsigliano di salire, non ci sono le condizioni, ma loro ci vanno ugualmente. Hanno scelto la via Simon-Rossi, sul versante nord, la quale si muove in un ambiente non particolarmente rischioso.
A sera arriva a valle la chiamata: c’è stato un imprevisto, i due sono feriti, bloccati in parete. Bisogna andare a recuperarli. Il Soccorso Alpino si mobilita immediatamente e per tutta la notte i tecnici tentano il salvataggio. I tedeschi sono fermi in una posizione delicata.
Sento ronzare l’elicottero avanti e indietro nell’oscurità, mentre il bagliore delle fotocellule illumina a giorno parti di montagna. I soccorritori di San Vito Alberto Bonafede e Aldo Giustina decidono di calarsi dalla cima con le corde per raggiungere i feriti, che si trovano circa 250 metri sotto la vetta. Scendono veloci, i loro gesti sono sicuri ed esperti. È l’alba, oramai sono vicinissimi, a una quindicina di metri dall’obiettivo, ma in quel momento io, che fino a quell’istante ero rimasto a guardare, mi sveglio.
Chiamatela sfortunata coincidenza o cattiva sorte, io non ho colpa. La lenta disgregazione fa parte della mia natura. Poco sopra le teste dei due cadorini, un blocco di roccia grande come un palazzo di dieci piani si stacca dal costone e precipita in basso, trancia le loro corde e li travolge, portandoli con sé nel vuoto. Il sole del 31 agosto è già alto che i tedeschi sono riportati al sicuro dall’elicottero. Alberto e Aldo, che erano venuti volontariamente, come i loro compagni, per salvare la vita ad altri, giacciono morti fra le macerie della frana, fra nugoli di polvere bianca”.
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