L’imboscato, Narciso

Malga Clesera

“Sono nato e cresciuto a Cles, classe 1888. Quelli come me che vennero al mondo in quegli anni, a ridosso della prima guerra mondiale ricevettero la cartolina per andar soldati. Chiaramente la bandiera da difendere era ancora quella austriaca, anche se in cuor mio mi sentivo più italiano di Garibaldi. Al principio mi spedirono in Galizia, dove rimasi fino al novembre del ’14, momento in cui mi ferirono e dovetti abbandonare il campo. Fui ricoverato prima a Brnò e poi a Trento, per tornare immediatamente al fronte sui Carpazi. Questa volta fu più rapido, mi ferirono per la seconda volta nel marzo 1915 e mi rimpatriarono dopo un breve soggiorno a Vienna. A maggio ero nuovamente a Trento, pronto per tornare a combattere in Boemia, ma venni a sapere che l’Italia sarebbe entrata in guerra contro l’Impero. Finchè era sparare ai russi ancora poteva starci, ma non sarei mai partito col fucile in mano rischiando di dover combattere contro gli italiani, che per me erano compatrioti.
Un mattino verso la fine di maggio di quel 1915 partii a piedi dalla mia casa di Caltron e salii sul monte Peller, dandomi alla macchia. Me ne stetti buono buono in una caverna poco lontano da malga Clesera per 42 lunghi mesi. Nessuno sarebbe venuto a curiosare proprio lì in quei tempi furiosi. Non fu una passeggiata, un inverno a 2000 metri passato in solitudine durava come una vita intera. Ogni tanto venivano a portarmi notizie, cibo e un po’ di conforto. Ma io non mollai. Non fu la guerra a farmi abbandonare quella tana, ma la febbre. Avevo paura che si trattasse di spagnola, che in quel periodo ne ammazzava più della peste, così tornai a valle, a casa dai miei. Era la metà di ottobre del 1918 e la guerra oramai era agli sgoccioli”.

Storia tratta da: Alberto Mosca “Oltre cento anni di storia del rifugio Peller” Società degli Alpinisti Tridentini, sede di Cles

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