L’organaro, Giorgio

Rumo

“Nel 1970 chiamarono un signore da Verona per restaurare l’organo del paese. Ancora non lo sapevo, ma quell’incontro avrebbe determinato tutta la mia vita futura. Il signor Formentelli, così si chiamava, di giorno stava in chiesa e la notte dormiva a casa nostra. Io non capivo bene cosa facesse, ero solo un bambino. Ma ero curioso, lo interrogavo spesso e lo osservavo all’opera. Una volta che lui ebbe terminato il lavoro e io le scuole medie, mi convinse ad andare a bottega da lui.
Mi ci vollero dieci anni per apprendere le basi e le tecniche, il mestiere dell’organaro è uno dei più complessi e difficili da imparare perché si tratta di tante professioni diverse unite in una sola. E si devono padroneggiare tutte quante: serve saper essere dei fabbri per forgiare le canne, degli architetti per ideare la struttura e dei falegnami per realizzarla, degli elettricisti per collegare tutti gli elementi, degli ebanisti per creare le decorazioni e gli intarsi, dei meccanici per farlo suonare e infine dei musicisti, perché farlo suonare non basta. Bisogna farlo suonare bene.
Oggi mio fratello ed io aggiustiamo, restauriamo e costruiamo organi in tutta Europa. Non è facile, i soldi sono pochi e si investe sempre meno in queste cose, ma la passione permette di sfidare ogni difficoltà e di rimanere in officina giorno e notte. Quando senti suonare l’organo in chiesa non pensi a quanto sforzo ci sia dietro e a quanto sia stato complicato raggiungere quel risultato. Ma oramai ci ho fatto l’abitudine. Quando a scuola chiedono a mio figlio piccolo che mestiere fa il papà lui risponde sinceramente: il mio papà fa le canne.”

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