Val di Cembra
“Arrivammo granello dopo granello, sassolino dopo sassolino, trascinate dalla forza dei ghiacciai che scorrevano lungo la valle dell’Avisio. Tutti quei piccoli e grandi sedimenti si accumularono in una valletta laterale, dove l’acqua prese a eroderli lentamente, scavando solchi e fessure profonde. Diede vita a noi, torri fragili e tenaci, in continua lotta con la gravità. Non eravamo così all’inizio. Come le sculture umane, siamo frutto di una lenta e costante opera di sottrazione, siamo anzi il simbolo della sottrazione, sempre alla ricerca del limite sottile fra lo stare in piedi e il cadere, fra l’essere piramidi eleganti e slanciate e ammassi di sabbia informi. E questo limite a volte è superato da pochi grammi di sabbia che ci scivolano di dosso dopo un nubifragio. Le più forti di noi hanno un cappello in testa, un grosso masso che ci protegge dalle piogge e ci fa da scudo. Nonostante noi non possediamo altra forza che l’inerzia non sono bastati millenni di piogge e terremoti a farcelo levare dalla testa. L’uomo ci provò con le cannonate della Grande Guerra e decapitò parecchie di noi per esercitare i soldati al tiro. Sappiamo che prima o poi cadremo tutte e torneremo sabbia, è il destino degli esseri di questo mondo, ma quel masso cerchiamo di tenercelo stretto. Se lo perdiamo, sappiamo di essere destinate a una morte veloce, per poi, subito dopo, tornare a scorrere sul letto dei fiumi assieme ai pesci, verso il basso, verso il mare”.
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