2/3 Quel 21 aprile, Frana del Col de la Roa

San Vito di Cadore

“Il 21 aprile del 1814 i paesi di Borca e di San Vito si svegliano pigramente. Il tempo è piovoso e una fitta nebbia ricopre i prati e le cime delle montagne. I contadini non escono, troppo umido. Sono tutti dentro casa, davanti alla stufa. Alle nove di mattina si sente uno schianto seguito da un boato provenire dal grande versante ghiaioso dell’Antelao, dritto sopra le loro teste. Poi più niente. Era in alto, verso Sopravento, gridano. Ma non si vede nulla. Solo il bianco della nebbia. A tutti si è mozzato il respiro. Tacciono in attesa di altri rumori, ma l’unico che sentono è quello ritmato del cuore che batte nelle loro tempie. Escono di casa, fuggono, rapidi più che possono. Evacuano il paese nel giro di pochi minuti. Quando sono al riparo si fermano. Tutto è talmente silenzioso: forse è stato solo un tuono, o forse lassù si è staccato un pezzo di montagna che poi si è sistemato lungo il pendio.
Dopo mezz’ora decidono di rientrare in paese, almeno per prendere gli animali e i pochi beni di valore. Allora io, che fino a quell’istante ero rimasta immobile, sospesa come la lama di una ghigliottina, mi scaglio con tutta la forza che la gravità mi concede. Milioni di metri cubi di ghiaia investono i due paesi. Per lo spostamento d’aria i tetti delle case esplodono e volano via come foglie spazzate dal vento. Li ritroveranno dall’altra parte della valle, oltre il Boite, fatti a pezzi. 314 persone muoiono sul colpo e il destino di due paesi è segnato. Due intere frazioni, Taulen e Marceana, scompaiono letteralmente dalla faccia della terra.”

Adattatamento da: C. Vittore del Favero, “La Roa di San Canciano”, Tipografia N. Cionfi, Viterbo, 1905.

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