Odle di Eores, Val di Funes
“Io non sono la montagna, ma la linea sottile che ne taglia il fianco. Io non ero la montagna, ma il piede rapido che la saliva. Nacqui in Val di Funes, all’ombra delle Odle, di queste pareti, che da bambino mi insegnarono a camminare e a scalare. Dopo di loro ce ne furono altre, sempre più alte e difficili.
Con mio fratello Reinhold volli salire la più alta del mondo, che si trova molto lontano da qui, nella terra degli 8000. Era il 1970 e il versante Rupal del Nanga Parbat era una sfida mai superata prima. Eravamo entrambi preparati e pronti, incredibilmente forti come lo si è solo a vent’anni. Ciononostante, la cima per essere conquistata richiese tutte le nostre energie, le mie soprattutto. Arrivammo in vetta, io ero esausto e vittima degli effetti dovuti alla mancanza di ossigeno. Avevamo deciso di scalare senza bombole, il ritorno al campo base era impossibile da affrontare in quelle condizioni. Eravamo vincitori, ma prigionieri. Non della montagna, ma dei nostri limiti umani. Decidemmo di provare a scendere dall’altro lato, il versante Diamir.
Nella discesa ognuno tenne a bada i propri demoni e la propria stanchezza. Lui aveva il suo passo, io il mio e spesso ci separavamo di qualche centinaio di metri. Mentre la nostra mente era impegnata a lottare contro le allucinazioni del sonno, del freddo e della disidratazione, sotto i nostri piedi percepimmo la pendenza farsi più dolce. Eravamo quasi in fondo, eravamo salvi. Accadde allora. Da sopra si stacco una slavina e mi travolse. Fu il buio.
Mio fratello, non vedendomi, tornò indietro a cercarmi, invano. Poi, allo stremo, si trascinò a valle, dove fu salvato da dei pastori. Per il gelo gli furono amputate sette dita dei piedi. Come se perdere un fratello non fosse abbastanza, negli anni successivi fu accusato dai suoi stessi compagni di spedizione di avermi abbandonato alla montagna per salvarsi.
Ebbe inizio una battaglia che durò per decenni. Solo trentacinque anni dopo il mio corpo fu ritrovato sul ghiacciaio alla base della parete, dove Reinhold aveva detto di avermi perso. Era stato davvero con me fino alla fine, mi aveva ricondotto vivo fin quasi al termine di quell’avventura, fino a che aveva potuto, e aveva rischiato la vita per farlo”.
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