Rifugio Altissimo
“Dopo l’incidente precipitai una seconda volta, dentro me stesso. Mi ero sfasciato il corpo, ma prima ancora la mente. Fino a quel momento la mia vita era stata l’arrampicata, fatta nel modo più estremo e sconsiderato. Quando non trovavo un compagno o quando mi andava semplicemente di farlo, scalavo slegato su vie sulle quali avevo bisogno della corda per scendere. Anche Messner arrampicava così, saliva libero tenendo una corda sulle spalle come stampella psicologica. Un giorno feci una via un pò difficile, superai un gruppo in sosta prima del tiro chiave e notai le loro facce sbigottite nel vedermi senza sicure. Giunto al passaggio più duro presi paura, iniziai a tremare e gridare: Bepi! Attento che casco! Invocavo un compagno immaginario. Pensai agli altri sotto che osservavano la scena e mi davano del matto. Ero disposto a rischiare le ossa pur di soddisfare il mio ego, che imbecille! Vivevo di fisicità, non esistevano montagne o salite che mi facessero paura, ero fuori controllo. E non ero solo. Nel giro di persone che frequentavo, tutti rocciatori, ogni anno si andava al funerale di qualcuno. L’ego era determinante: poter apparire sui giornali, sapere che eri il primo ad aprire la via nuova… non si trattava di una ricerca del limite, di una sfida personale, ma di alimentare l’ego e avere il meritato riconoscimento del mondo esterno. Mi chiedevo: perchè sono qua? Per divertimento? No, perchè se lo faccio so che vinco un premio, vado sul giornale in America e avanti così.”
Storia scritta per Garda Trentino
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