Per gioco, teleferica

Malga Spora

“In questa malga non c’è televisione, non ci sono videogiochi, il cellulare non prende. Di computer manco parlarne, la cosa più tecnologica è la mungitrice, e comunque l’elettricità va usata con il contagocce.
Si direbbe un posto inospitale per tre bambini che hanno bisogno di stimoli. Ma qui ci sono gli alberi su cui arrampicarsi, le tane delle marmotte dietro cui appostarsi, gli animali da rincorrere e i prati da attraversare a perdifiato. E loro, Mattia, Federico ed Emily hanno sviluppato un potere ormai raro con cui giocare, la fantasia. Tutto sommato io stessa non sono che una cassettina per la legna, un cordino e un paio di moschettoni. Ma nelle loro mani prendo vita, acquisisco un’anima, mi parlano addirittura, divento una vera teleferica.
Vi chiederete per quale strano motivo dei bambini debbano costruire un mezzo del genere quando i loro coetanei giù in valle magari non conoscono nemmeno il significato di questa parola così lunga e articolata. Qui non arrivano strade, ma solo sentieri. L’unico mezzo per far salire il pane ogni mattina, assieme a tutto l’occorrente per vivere, è una lunga teleferica a venti minuti a piedi da qui. Il nonno ci va tutti i giorni a prendere le cose con il motocoltivatore, e quando lo si sente tornare carico su quel trabiccolo borbottante, è una festa. Vuol dire pane fresco, o una bottiglia di coca cola, o un nuovo numero di Topolino. Per questo mi sento così importante. Perché se si rompe la teleferica, qui, sono guai, si è isolati dal mondo. Ora, non arriverò a dire che mi sento fondamentale quanto quella vera, anche se forse nei giochi di loro tre qualche volta lo sono, ma di certo, se in questa malga non ci fossero dei bambini e della fantasia, io nemmeno esisterei”.

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