Amedeo, la mia storia

Lauregno

“Quando avevo 11 anni mio padre mi disse: ho parlato con la tua maestra. Lei crede che sarebbe meglio farti studiare. A quei tempi i genitori si fidavano molto dell’opinione dei maestri e così mi ritrovai in una scuola di Bolzano assieme ad altri 4 del paese. Mio padre era con me, quella volta. Fu la prima e ultima che mi accompagnò in città. Quando stavo in collegio tornavo a casa solo tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e ai Santi. Arrivavo in corriera a Rumo e salivo a piedi con la valigia fino al maso, una faticata. A 15 anni, finito il ginnasio, come pochi anni prima, mio padre mi disse: adesso i tuoi insegnanti dicono che potresti fare le scuole superiori. Come facciamo? Io sono invalido e soldi non ce ne sono, lo sai che siamo i più poveri del paese. Fortunatamente il ministero aveva istituito una borsa di studio, ma i posti erano solo 20 e a provarlo erano in 200. Sapevo che se non fossi stato preso avrei ereditato la fattoria, la legge del maso chiuso prevedeva che la proprietà andasse tutta al primogenito maschio per evitare la parcellizzazione. Studiai come un matto e passai l’esame, non volevo fare il contadino. Il maso andò a mio fratello minore Albert e io rimasi a Bolzano. Dopo le superiori e l’università, il comune di Lauregno mi contattò: se rientri e riesci a convincere anche tua cugina a tornare, noi potremmo avere due insegnanti laureati e aprire la scuola media. Andò così. Assieme a lei e pochi altri divenni docente e iniziai una carriera che ora sto per concludere. Mi mancano solo due anni alla pensione. In questi 41 anni ho accompagnato verso l’età adulta più di una generazione di bambini, e oggi tengo lezione non ai figli, ma ai nipoti dei miei primi alunni”.

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