I maialini, Amedeo

Maso Oberstangl, Lauregno

“Al maso non avevamo la scrofa, quindi niente maialini. Dovevamo andare a prenderli tutti gli anni in val d’Ultimo, alla fiera. Ci si andava d’inverno. Si partiva a piedi, mio padre ed io, quando ero ancora piccolo, avrò avuto 11 o 12 anni. Camminavamo in mezzo alla neve, per ore, attraverso il passo Castrin e poi giù, sull’altro lato delle Maddalene. Al ritorno era più dura, perché avevamo i maiali sulle spalle. Ne compravamo sempre uno grande e uno più piccino. Quello piccolo lo portavo io, chiuso dentro un sacco di juta, di quelli che usavamo per le patate. Non era il massimo, perché succedeva sempre che dopo tutti quegli sballottamenti i maialini facessero i loro bisogni che regolarmente sentivi, caldi, scivolarti giù per la schiena. Intorno a Natale, dopo un anno passato a ingrassarli, quando pesavano sui 170 – 180 chili, li uccidevamo. Con quello che ne veniva si faceva di tutto. Il giorno prima mia mamma veniva da me e mi diceva: domani ammazziamo il porco e dovresti aiutarmi a tenere il pentolone per raccogliere il sangue. Mio fratello e le mie sorelle scappavano. Io ero il più grande e anche se non mi piaceva dovevo farlo per forza. Il mio compito era quello di trattenerne il più possibile, ma non ero molto bravo, ne rovesciavo sempre la metà. Il sangue lo si teneva, perché, come dicevo, del maiale non si buttava niente. Mia madre ci faceva i sanguinacci, i canederli al sangue e anche una cosa che oggi suona un po’ macabra ma che una volta si mangiava spesso: la blutkuchen, la torta di sangue”.

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