L’orologio, Daniele

Canalone dei Camosci

“Avevo appena finito gli esami di maturità che volli partire per le montagne. Feci la strada da scuola a casa camminando a una spanna da terra, ero al settimo cielo. Libero, finalmente. Salutandoci, mio padre mi donò un orologio da polso perché ero andato bene. Inforcai la lambretta e, senza un compagno, partii da Brescia per Pinzolo. Al tramonto ero al rifugio Brentei. Non rimasi solo a lungo, in rifugio si fa presto a conoscere la gente. Cenai facendo amicizia con un gruppo di tedeschi. Il mattino seguente, visto che avevamo itinerari diversi, promettemmo di incontrarci nuovamente lì la sera dopo. Ma il giorno successivo i tedeschi non mi videro arrivare. Rientrando a Madonna di Campiglio diedero l’allarme al soccorso alpino. Questi aspettarono un po’ a far partire le ricerche: magari avevo cambiato itinerario e me ne ero andato per i fatti miei lungo un’altra strada. Due giorni dopo però anche mio padre contattò i soccorsi, che iniziarono a battere il sentiero che avevo detto ai tedeschi di voler percorrere, quello che dal rifugio sale fino alla Bocca dei Camosci. Il ghiacciaio era molto più esteso nel 1970 e i crepacci più profondi. Setacciarono la vedretta in lungo e in largo, ma il mio corpo non fu trovato. Intitolarono a me quel sentiero e portarono questa lapide alla chiesetta del Brentei. 17 anni dopo, nell’87, durante l’estate fece talmente caldo che i ghiacciai si abbassarono di due metri. Risalendo il canalone, dei turisti videro un corpo per metà sepolto nel ghiaccio. Il cadavere era quello di un uomo e a Campiglio pensarono subito al ragazzo di Brescia scomparso. Ma non aveva documenti con sé e non fu possibile identificarlo. Fu chiamato mio padre perché potesse riconoscermi, nel caso fossi io. È mio figlio, disse guardando le spoglie. Avevo al polso l’orologio che mi regalò quel giorno”.

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